BREVE ACCENNO STORICO DELLA CONFRATERNITA DEL SS. ROSARIO.
Da varie fonti risulta che intorno alla fine del 1500 la Congregazione aveva mutato anche la sua seconda denominazione in quella del SS. Rosario. Più di uno storico locale ha pensato di riconnettere le ragioni di questa nuova intitolazione alle circostanze intervenute qualche anno dopo che don Fabio D’Afflitto, conte di Triveneto, riuscì ad acquistare il feudo inaugurato Castel di Sangro dai d’Aquino ed ingrandito dai loro discendenti, allorché nel 1569, Ferdinando Francesco d’aquino-d’Avalos. Fu suo malgrado costretto a venderlo per 16.200 ducati. Né la circostanza si verificò senza disappunto a castel di Sangro, dove avevano ormai coltivato la speranza “quei cittadini poter a lungo viver contenti all’ombra delle Torri dei d’Avalos” e dove comunque “sempre cara memoria” rimase della “signoria di casa d’Aquino e di casa d’Avalos”.
Sei o sette anni appresso, infatti, fra la fine del 1575 e l’inizio del 1576, nel borgo sostò Giovanni d’Austria, il figlio naturale di Carlo V, mentre andava o tornava dal santuario della Madonna di Loreto a cui era particolarmente devoto. Quell’ospite d’eccezione aveva varcata appena la soglia dei trent’anni e già vantava la gloria, che solo in parte aveva potuto offuscargli il suo geloso fratello Filippo II, di avere definitivamente sconfitto i Turchi nella famosa battaglia di Lepanto del 1571 in cui era stato alla guida della flotta cristiana.
Per questa ragione soprattutto egli venne festeggiato ed ospitato con tutti gli onori e per questa ragione la sua fugace presenza avrebbe lasciato duratura traccia nella trasformazione della denominazione della Confraternita dell’Annunziata, che da quel momento sarebbe divenuta del SS Rosario per rimarcare come fosse stato l’intensificarsi della devozione e della recita del rosario ad ottenere la calda intercessione della Santa Vergine, determinante per quella vittoria decisiva per le sorti di tutto l’Occidente.
L’ipotesi non è priva di una sua suggestione ed è molto verosimile. E’ però, possibile affermare con sicurezza che, per qunto già nel 1650 si incontri per la prima volta un riferimento alla Congregazione del SS. Rosario, solamente “nel mese di Settembre die 19 1662 sotto il governo di tutto l’Oriente dè Predicatori, del R.mo Padre generale Fr. Giovanni Battista de’ Marinis […] fu fondata la Compagnia del SS. Rosario nel Castello che nominiamo Disangro”.
Quasi certamente all’atto stesso della sua fondazione essa venne “aggregata alla Chiesa della Minerva di Roma”, dando origine a quella sorta di gemellaggio, che risultava comunque già definito nel 1675 e che spiega le ragioni delle affinità osservate nei riti celebrati in entrambi questi luoghi domenicani.
L’occasione, rimasta memorabile e ritenuta particolarmente importante nella vita della Comunità, che permise di irrobustire questo singolare rapporto fu lo straordinario pellegrinaggio con cui nel 1675, in occasione dell’Anno Santo indetto da Papa Clemente X, anche “li Fratelli e Sorelle della Illustrissima Compagnia di castello Disangro” decisero di raggiungere “l’Alma città di Roma” insieme al “felice stuolo di fedeli numerosissimo sotto diversi stendardi aggregati a diverse Archi Confraternite”.
A piedi, devotamente trasportando a spalla il simulacro della loro Madonna del Rosario da poco realizzato, essi si avventurarono “per il disastro del lungo viaggio di sei giornate”, affaticati “per il tempo assai piovoso”. Quando finalmente “pervennero” alla meta, “alli 11 di Novembre […] furono costretti a ritirarsi nei diversialberghi” per il maltempo. Sicchè, “impediti dalla pioggia”, né quel giorno né il successivo potettero riunirsi nella processione che “finalmente alli tredici del sopradetto” mese potè essere “intimata” con inconsueta solennità. Fuori le mura della Città, “nel giardino delli Signori robberti”, tutti indossarono l’abito bianco e la mozzetta nera, provenienti in parte dalla sagrestia della Minerva, donde i Padri domenicani ì, preceduti da una corce d’oro e da una “bandinella di rase bianco, fiorata di rose di ricamo”, giunsero alle ventidue per incontrali.
Di non comune sfarzo fu “l’Ordinanza della processione […] con lìassistenza di alcuni signori uomini romani”.
“Alla ordinata Processione, servirono di guida due Mandatari vestiti di panno bianco, e mantello bianco, con mazze inargentate, seguendo a questi la Croce di argento del convento con la bandinella ornata di rose ricamate che alludevano al Rosario. Seguirono dopo la Croce molte coppie de’ Padri domenicani con la cappa nera.
Dopo dei quali seguivano fratelli con cigne di cordovano nero e due lanternini bianchi, posti ad oro con vetri. E perché l’entrata delle Compagnie in Roma gl’è una delle principali funtioni, esercitate inogni venticinque anni, […] perciò nell’entrare dalla Porta del Popolo sopra la soglia della medesima, genuflessi i Fratelli la baciarono divotamentre, in reverenza del Sangue sparso da santi Martiri nella pianura di Roma.
Seguirono altre coppie de’ Fratelli doppo dè quali venne il Gonfalone fatto a bandiera di damasco bianco con l’immagine della beata Vergine del Rosario, del Patriarca San Domenico, e di S. caterina da Siena, quale Gonfalone fu preceduto da quattro trombettieri del Senato di roma vestiti di velluto liscio rosso, e trine d’oro.
Questi in diverse strade di Roma affiatarono le trombe […]; essendovi anche buone coppie di torce accese di quattro libre l’uno.
E perché la processione maiormente rilucesse, intramezzarono tra una coppia e l’altra delli fratelli, una coppia di Padri domenicani tutti con il rosario alle mani. […] venne portato il Crocifisso da’ tre fratelli; proseguendo fino al Talamo della Vergine altre coppie, fra religiosi e fratelli.
Finalmente al comparire del Talamo e della santissima Immagine […] applauso del popolo. […] Dodici musici delle Basiliche, con cotte, cantando per la via […].
Seguì doppo il clero delli molti reverendi signori sacerdoti tutti in cotte piegate e berrette sacerdotali, andandovi in ultimo il molto e reverendo Padre curato con stola candida.
Appresso poi venne portato il Gonfalone delle donne, dove in mezzo al damasco bianxìco similmente vi era l’immagine del SS. Rosario […] il tutto preceduto da due Signore principali del Castello Disangro […].
Finalmente all’ultimo seguivono li molti Reverendi Padri Priori (del convento della Minerva e di Castel di Sangro) con le stuole fiorate d’argento […].
Tutta questa ordinata processione passo per tutto il Corso di Roma, e pervenuto il Talamo accanto alla portaria delle Monache di Beneficenza, fermassi alquanto per essere riverito dalla divotione di quelle esemplarissime Madri, seguitando poi la processione verso Piazza di S. marco ed il palazzo dè Signori papalini, trasportossi verso le Monache di S. Chiara e pervenuta alla Chiesa della Minerva fu ricevuta con suono di campane, di trombe, di musica; e di suono d’organi”.
Il rito professionale riprese il giorno successivo e procedette alla visita delle quattro Basiliche. Oltre che al Quirinale, ove ricevette le benedizione del Papa, la teoria sostò in diverse altre chiese e conventi della città, spesso su invito delle monache che li abitavano, per concludersi in San Pietro, donde i pellegrini rientrarono alla Minerva.
“Si deve notare che essendosi guastati i tempi nel giorno dell’entrata, si accomodarono e nel seguente giorno alla visita delle Chiese fu un sereno assai lieto: ma il di seguente terminate le funzioni essendosi di nuovo intorbidata l’aria: pare che anco il Cielo habbia con i suoi azzurri applaudito alla Regina de’ Cieli”.